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roncagliaenrico58

Dai frutti riconoscerete l’albero


La prima volta che partecipai ad una riunione del Rinnovamento nello Spirito risale a parecchi anni fa. Ero viceparroco e dividevo il mio tempo tra le parrocchie (sempre almeno due) e l’insegnamento della religione nella scuola media. Avevo, allora, una conoscenza molto superficiale del Movimento carismatico. Una sera, a causa di un contrattempo, il sacerdote responsabile si trovò nell’impossibilità di presenziare all’incontro del gruppo locale, così si rivolse a me per la celebrazione della Messa. Un po’ per curiosità, un po’ per senso del dovere, accettai.

Terminata la Santa Messa, i presenti cominciarono a pregare spontaneamente ad alta voce. Ciascuno proponeva un’intenzione di preghiera o una invocazione. All’inizio gli interventi si susseguivano in modo ordinato, uno successivo all’altro, poi cominciarono a sovrapporsi fino a formare un clamore diffuso da cui emergevano gli “Alleluia”, i “Lode a te Signore”, ecc. Al clamore fece seguito una cantilena in un linguaggio sconosciuto. A questa se ne aggiunse un’altra e poi un’altra ancora, sovrapponendosi disordinatamente. Ognuno la sua lingua. Una Babele? Cercavo di trovare la giustificazione per tutto questo. Doveva esserci una giustificazione, se queste persone operavano tranquillamente in una sala parrocchiale con tutti i dovuti permessi. Tuttavia, il ricordo degli studi ancora freschi sulle lettere di S. Paolo mi suggeriva che il cosiddetto canto in lingue, ammesso che quello a cui stavo assistendo fosse davvero il canto in lingue o non piuttosto una sua caricatura, aveva sollevato non pochi problemi anche all’Apostolo.

Comunque fosse, in quella discordanza di voci si distingueva, con mia grande sorpresa, un noto impiegato di banca del paese, un signore molto distinto, che però in quell’occasione, seduto per terra con le gambe incrociate, le braccia allargate, e movenze da folgorato, sciorinava in cantilena parole vagamente semitiche. Chi l’avrebbe mai detto! L’altra voce che si imponeva maggiormente era quella di una catechista insospettabile e madre di un mio alunno. Fu in quel caos che mi si avvicinò inaspettatamente la collega di lettere, proponendomi il Battesimo nello Spirito. “Cosa...? Ah, grazie, ma io sono già stato battezzato e questo dovrebbe bastare”, mi venne da rispondere. Detto e fatto, mi trovai circondato da tutti i presenti con le mani stese sul mio capo, mentre continuavano le preghiere, questa volta su di me che assistevo stupefatto e visibilmente rosso in volto.

Quella esperienza bastò, e non mi videro più ai loro incontri. Da allora diventarono l’oggetto della mia osservazione e delle mie interne domande, a cui avrei dovuto trovare le giuste risposte per me e per il bene degli altri. Come era apparso nel seno della Chiesa Cattolica questo genere di religiosità, così diverso rispetto a quello che avevo interiorizzato nella mia infanzia, in seminario, o nelle mie esperienze benedettine? Nel mio modo di pensare, “preghiera” faceva necessariamente rima con “compostezza”. È ancora vivo in me il ricordo dolce e commovente dei genitori e dei nonni, quando recitavano il S. Rosario in casa. Si alzavano in piedi, afferravano la sedia sulla quale erano stati seduti, la giravano con il sedile rivolto verso di loro, e vi appoggiavano un ginocchio. Non avendo a disposizione un vero inginocchiatoio come in chiesa, rimediavano in questo modo alla necessità di adeguarsi il più possibile alle norme religiose comuni. Nessuno si sognava di assumere pose stravaganti, né di abbandonarsi ad una preghiera spontanea. Tutti si adeguavano alle formule e alle consuetudini della Chiesa. In questo modo l’anima si eleva più facilmente a Dio, che è il vero fine della preghiera, ed evita il protagonismo e, in definitiva, la vanagloria. Mi rifiutavo di accettare l’idea che per essere graditi a Dio bisognasse passare attraverso questi atti esteriori e collettivi. I nostri padri conoscevano una via più sicura e diretta: la fede, unita all’umiltà. Non andavano in cerca di manifestazioni particolari, perché per chi crede non c’è bisogno di “vedere”, né tantomeno di “far vedere”.

La differenza più notevole tra la religiosità cattolica e quella “carismatica”, a mio avviso, è che la seconda è volta a raggiungere una sorta di inebriamento, autosuggestione, autocompiacimento ed esaltazione di sé. Chiamano “effusione dello Spirito” ciò che è piuttosto delirio collettivo. I canti che vengono eseguiti, a fronte di qualche vago contenuto di fede, sono orientati a suscitare emozioni. In definitiva, la religiosità “carismatica” resta una religiosità umana, anzi nemmeno ad alto livello, che sarebbe quello razionale, bensì ad un livello più basso: quello delle emozioni.

Perché allora hanno avuto tanto seguito? Perché le persone sono attratte dalle apparenze e continuano a confonderle con la sostanza. Questa è la realtà: la moltitudine preferisce faticare con le emozioni, poco con il corpo, e ancor meno con il raziocinio. In questo non vi è differenza tra atei o sedicenti cristiani.

Un altro aspetto negativo che non è raro incontrare in questi gruppi è il desiderio di ricevere doni speciali dal cielo. Raccontano molto volentieri e senza alcun riserbo di avere avuto visioni, intuizioni, locuzioni, ecc. Li sbandierano ai quattro venti con l’aria di chi non nutre alcun dubbio sull’origine divina di tali fenomeni. Guai a chi li contraddice, fosse anche per richiamarli alla realtà e aprire loro gli occhi. Secondo loro, in questi casi, avere dubbi significa peccare contro la fede. Alcuni arrivano persino a ravvisare il peccato contro lo Spirito Santo. Mentre invece contro la fede è proprio la loro sete di segni e prodigi.

Dalla ricerca dei doni celesti a procurarsi i doni celesti il passo in certi casi è molto breve. In questa tensione si insinua l’autosuggestione, la finzione o, addirittura, quel che è peggio, la mentalità magica e il coinvolgimento di realtà preternaturali. In alcuni, perfettamente digiuni di dottrina cattolica, ho riscontrato persino la presunzione della scienza infusa. Avevano una risposta a tutte le domande, in diretta comunicazione dal cielo e più infallibile di quella di un papa. Hanno l’abitudine di entrare con la delicatezza di un elefante nelle vite degli altri, ritenendo di essere investiti di una missione dall’alto. Individui del genere, formatisi a questa religiosità, peggiorano con l’avanzare degli anni, e sono realmente pericolosi.

Purtroppo, il Rinnovamento nello Spirito è un terreno favorevole per la crescita di falsi mistici, impostori e ingannatori di menti deboli, pieni di presunzione e perciò, intoccabili.

I doni del cielo vanno, invece, accolti, non cercati, perché non è detto che ne siamo degni. Inoltre, ad ogni dono corrisponde sempre una responsabilità, e ne renderemo conto. Bisogna accogliere i doni che Dio dà liberamente, quando, come, e a chi vuole. Prima di essere oggetto di vanto da esibire nelle riunioni, sono talenti da porre a servizio della comunità con le dovute disposizioni d’animo e senza suonare la tromba davanti a sé. 

Come è apparsa allora questa strana realtà nella Chiesa? Il Rinnovamento nello Spirito è uno dei frutti migliori dell’albero dell’ecumenismo; infatti, si ispira alle assemblee evangeliche e pentecostali americane. Perciò è lecito citare a questo proposito il noto proverbio latino: talis pater talis filius. 

È proprio del protestantesimo desiderare segni, prodigi e miracoli, nonché doni straordinari. Essendo rimasti privi del Miracolo quotidiano della Transustanziazione, e della Grazia dei Sacramenti per cinquecento anni, i protestanti ricercano il contatto con il Divino, ma lo fanno con mezzi ed espedienti umani (canti inebrianti, strumenti musicali da orchestrina, euforia collettiva, ecc). Hanno rifiutato e continuano a rifiutare i mezzi istituiti da Gesù Cristo per effondere lo Spirito: devono accontentarsi di ciò che concede loro “la carne”.

Tutto questo, trasportato in ambito cattolico, non ha proprio alcun senso. La presenza Eucaristica di Gesù in mezzo a noi, se abbiamo fede, è sufficiente a mantenere le nostre anime nella pace vera e profonda. A questo aggiungiamo anche l’aiuto dei Sacramenti. Su questi argomenti non abbiamo nulla da imparare dai protestanti. Ritornino, invece, alla fede e al culto eucaristico, e non avranno bisogno di tante esteriorità. Ritornino ad una semplice e devota pietà mariana, e capiranno quanto sono ridicole certe scorciatoie.

Per concludere questo lungo discorso, voglio farvi notare un dato di fatto cui forse non avevate pensato: il fenomeno Medjugorje nasce e si sviluppa in stretta simbiosi con il movimento carismatico. Non c’è nulla da commentare: è una constatazione.

Ne aggiungo un’altra per la vostra riflessione personale: l’inizio del fenomeno Medjugorje è uno spartiacque nella storia della religiosità post conciliare. Infatti, prima di allora era molto raro, per non dire rarissimo, incontrare persone che si attribuissero doni soprannaturali. Da allora in poi è un fiume sempre in crescita. È come se il 24 giugno 1981 si fosse rotto un argine.

Termino con un particolare inquietante: Malachi Martin, il sacerdote esorcista autore del bestseller “I Gesuiti” e di altri libri-rivelazione sulla Chiesa, morì in circostanze misteriose nel 1999. Dal letto di ospedale ebbe solo la forza di dire “una mano mi ha spinto dalle scale”. Stava ultimando un libro dal titolo “The great Hoax”, proprio sul fenomeno Medjugorje. Egli, da esorcista e da profondo conoscitore delle dinamiche politiche internazionali e vaticane in particolare, aveva molte cose da rivelare sull’argomento.

Non voglio trarre nessuna conclusione, ma semplicemente far riflettere, perché non spetta a me dire l’ultima parola.

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