
Avevo 10 anni, quando il vento impetuoso della rivoluzione si abbatté contro la civiltà occidentale, sconvolgendola in tutti i suoi aspetti, allo stesso modo che l’uragano disperde e distrugge ogni oggetto che trova sul suo cammino. Al telegiornale trasmettevano spesso scene di giovani in jeans dai capelli lunghi che manifestavano nei cortei. Sentivo ripetere spesso la parola "Sorbona" e l'espressione "maggio francese". Accesa la miccia nei prestigiosi atenei occidentali, l’incendio dilagò a macchia d’olio fino ai luoghi più periferici del nostro mondo. Anche il paese in cui vivevo non ne fu esente, sebbene con qualche anno di ritardo. Così l'incendio mi raggiunse proprio negli anni della mia adolescenza.
Le canoniche, gli oratori dove giocavano i ragazzi, le sale parrocchiali, i conventi, le case, le scuole, le chiese, la Chiesa, in quegli anni, vennero investiti da un uragano di tale potenza, che ogni cosa non sarebbe più rimasta come prima. La forza di questo uragano era il dialogo, il confronto, la discussione. Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che la discussione pretendeva di passare al vaglio tutte le idee che erano state chiare per millenni, le fondamenta della casa nella quale abitavamo, per usare una metafora. Inoltre, tutti potevano parlare di tutto: si facevano "sit in" nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze. Tutti potevano esprimersi sulle grandi questioni morali, teologiche, politiche, economiche, ecc.. Non era necessario avere delle competenze per farlo, anzi la competenza era spesso scambiata per un sapere stantio e sorpassato. Il dialogo, la nuova anima della Chiesa, si nutriva di domande, curiosità, problemi, dubbi. Così il dubbio, da sempre osteggiato, fece per la prima volta il suo ingresso trionfale nella Chiesa. Senza di esso, in effetti, il dialogo si sarebbe estinto. Non avere dubbi, non avere problemi era considerato segno di rassegnazione ad una vita insignificante. Il dubbio era diventato la via maestra alla "verità", della quale più nessuno poteva osare di ritenersi detentore. La verità era di tutti e di nessuno e, una volta raggiunta, non era più posseduta.
Anche se una parte di me non condivideva tutti gli anatemi pronunciati contro il passato, tuttavia mi lasciavo allegramente e ingenuamente cullare dalla euforia generale.
C'era del nuovo all’orizzonte e la nostra generazione era la generazione prescelta per il radioso avvenire che si stava profilando davanti a noi. Che esperienza esaltante essere adolescenti e trovarsi in un mondo proiettato felicemente in avanti! Ci sentivamo gli eletti, i prescelti.
È vero: ci dispiaceva un po' per le generazioni passate, ma non troppo in fin dei conti. L’evoluzione, si sa, ha le sue leggi necessarie e inesorabili, che implicano, ahimè, anche la dura selezione.
Compresi, molto più tardi, che la nostra civiltà stava sostituendo il Dio cristiano con un'altra divinità: la Storia, considerata nel suo incessante evolversi, una divinità cieca e spietata. Non c'è giustizia nella nuova religione, non c'è morale. La verità è che stavamo diventando tutti pagani, pagani di ritorno, come i nostri lontani antenati. Gli dei, cacciati dalla testimonianza dei martiri e dei missionari, stavano tornando, e ora imperversavano sotto mentite spoglie all’interno della Chiesa stessa. A ben vedere, era nuovamente distinguibile il Fato (il destino ineluttabile) degli antichi romani o la sua versione moderna, cioè il Caso (il dio imprevedibile) degli atei. Il Fato/Caso si manifestava nei capricci della dea Storia. "I tempi sono cambiati! - si sentiva dire - Occorre adeguarsi ai tempi", questo era il ritornello.
L’evolversi degli eventi e dei costumi ora dettava legge all'uomo e diventava il fondamento di una nuova morale, così simile alla morale pagana. In pratica, la nuova morale si poteva riassumere in tre parole: "così fan tutti." Non era più l'uomo a determinare il corso degli eventi con la sua volontà uniformata alle leggi divine e naturali, ma erano gli eventi ad imporre all'uomo comportamenti che potevano infrangere persino le leggi di Dio. In questo modo il Dio cristiano assumeva una posizione secondaria e subalterna rispetto alla nuova dea. Direi di più: stava diventando un dio di ripiego, da chiamare in causa solo quando non se ne poteva fare a meno.